Ministero della Cultura

3.4.1 La dea di Rapino e la “Tabula rapinensis”

La cosiddetta “Dea di rapino” è una piccola statuina in bronzo raffigurante una divinità femminile databile, secondo alcuni, all’Età arcaica (VI sec. a.C.) o, più probabilmente, come sostenuto più recentemente da altri studiosi, all’età ellenistica (III-I sec. a.C.). Indossa una lunga veste coperta da un mantello ed ha i capelli raccolti in una lunga treccia. È forse una riproduzione miniaturistica di una più grande statua di culto che rappresentava la Dea Madre, divinità legata ai cicli naturali della terra, come indica anche la focaccia con spiga che regge con la mano sinistra, oppure riproduce semplicemente una figura di offerente.

Sulla parete un importantissimo documento epigrafico riprodotto in copia e notevolmente ingrandito rispetto all’originale (cm 15×15) per conferire particolare rilievo anche a livello visivo. Si tratta della Tabula rapinensis (Tavola di Rapino), una legge sacra incisa su una lamina bronzea in dialetto marrucino, in cui si fa menzione della comunità/popolo dei Marrucini (Touta Marouca) e si fa riferimento al culto di “Ceria Iovia” (Cerere Giovia) a cui, secondo alcuni studiosi, sarebbe connesso anche il rito della prostituzione sacra. Il culto di Giove è attestato anche dalla raffigurazione sulla preziosa gemma in diaspro esposta vicino alla Dea di Rapino e rinvenuta nella stessa grotta.

La Tavola di Rapino, di cui si ha notizia sin dal 1841, fu pubblicata per la prima volta da Mommsen nel 1846, che ne propose l’acquisto al Museo di Napoli. Fu poi invece acquistata per l’Antikensammlungen di Berlino, da cui scomparve per le vicende della II Guerra Mondiale. Si troverebbe, secondo alcune notizie non confermate, presso il Museo Puskin a Mosca.

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